lunedì 26 agosto 2013

I colori delle Dolomiti

"Di che colore? Si può trovare un aggettivo esatto per definire quella tinta così diversa da tutte le altre montagne, che al sottoscritto, ogni volta che ci fa ritorno e la rivede, provoca un trasalimento interno, risollevando ricordi struggenti? No, un aggettivo preciso non esiste. Più che di un colore preciso, si tratta di una essenza, forse di una materia evanescente che dall'alba al tramonto assume i più strani riflessi, grigi, argentei, rosa, gialli, purpurei, viola, azzurri, seppia, eppure è sempre la stessa, così come una faccia umana non cambia anche se la pelle è pallida o bruciata. [-] E da tutto questo, per chi guarda dal fondo delle valli, che colore risulta? E' bianco? giallo? grigio? madreperla? E' cenere? E' riflesso d'argento? E' pallore dei morti? E' l'incarnato delle rose? Sono pietre o sono nuvole?Sono vere oppure è un sogno?"
                                                                                                                                                       (Dino Buzzati, Le montagne di vetro,1956)


Un saluto alle Dolomiti, al Pelmo, al Civetta e alle Pale di San Martino che da anni ci accolgono maestose e silenziose nei giorni lieti di vacanza.





 

sabato 24 agosto 2013

Il Nabucco, l'Arena di Verona e un salto nel passato

L'11 Agosto e' stata una giornata speciale perché dopo varie vicissitudini siamo riusciti a regalarci lo spettacolo del 'Nabuccodonosor' di Giuseppe Verdi all'Arena di Verona. Non è la
prima volta che vado ad assistere ad un'opera in questo magnifico contesto, ma ogni volta e' una magia, un evento e non solo per l'opera in se', ma per tutto l'insieme.
Innanzi tutto la città' di Verona, che non delude mai.
A me e' sempre piaciuta perché pur essendo meta di una moltitudine infinita di visitatori, che non sempre sono il lato positivo delle città d'arte,  non e' troppo dispersiva ed e' sempre accogliente, permettendo nel raggio di poche centinaia di metri quadri di osservare le meraviglie che contiene quali ad esempio la Porta Nuova, l'Arena, la Piazza delle Erbe, la Piazza dei Signori e il presunto balcone da cui Giulietta spasimava per il suo Romeo. Arrivare quindi a Verona e fare un giro in centro, in attesa che arrivi l'ora dello spettacolo, aiuta ad immergersi in un'atmosfera d'altri tempi che prelude ad un qualcosa che difficilmente potrà essere dimenticato.

Lo spettacolo dell'opera allestito nell'Arena. Beh, ne ho visti di spettacoli a teatro, al chiuso e all'aperto, e forse l'unico contesto che mi permetto di paragonare e' quello della Fenice di Venezia, che ho avuto modo di visitare 'qualche' anno fa durante il Liceo. Ritengo però che la suggestione dell'Arena sia difficilmente replicabile, anche assistendo allo spettacolo dagli scomodi gradoni che ti rimandano tutta la calura accumulata nelle ore diurne e che obbligano a dotarti di un soffice cuscino per evitare mal di schiena fastidiosi (ma come facevano gli antichi?). È maestoso l'allestimento della scena, sono decine e decine gli addetti ai lavori che ruotano attorno alla scenografia per garantire poco più di due ore di magia.

E ancora, l'arrivo dei vip nella zona esclusiva delle poltrone e poltronissime, ovvero lo spettacolo nello spettacolo, soprattutto se si e' dotati di binocolo! Il rito dell'accensione delle candele ad inizio spettacolo e le stelle che si uniscono dall'alto a creare quella miriade di punti luminosi intermittenti che sanciscono l'ingresso in scena dei protagonisti.
Il 'Nabucco'' di Verdi. Era la prima volta che lo vedevo rappresentato, pur conoscendo bene l'aria più nota che contende tutt'ora il titolo di inno nazionale al 'Fratelli d'Italia' di Mameli, ovvero il 'Va pensiero'. Eccezionale l'orchestra e il suo direttore,  Julian Kovatchev; straordinaria, nonostante una partenza incerta,
l'interpretazione di Lucrecia Garcia del personaggio di Abigaille,  la presunta primogenita di Nabucco, in realtà figlia di schiavi, che cerca di sottrarre il trono al padre acquisito; ottimo il

coro che ha gentilmente replicato il 'Va pensiero' di cui sopra per la suggestiva interpretazione eseguita. Se poi il rientro al presente viene accompagnato da una notte in un bellissimo ex convento adibito ad hotel poco fuori Verona, dove relax e buon gusto non mancano, e una passeggiata in riva al Garda la mattina seguente, cosa si può chiedere di più?













sabato 17 agosto 2013

Amori ed eroi romantici di Charlotte Brontë



Difficile non scrivere cose banali o già più volte trattate su Charlotte Brontë, singolare quanto straordinaria autrice di poesie e famosi romanzi di metà Ottocento. Dopo però aver terminato il libro ‘Romacing Miss Brontë’ (2012) 
di Juliet Gael, ho trovato interessante riflettere sugli aspetti più romantici, appunto, della sua vita, che difficilmente nelle normali biografie sono stati descritti con cura. Invece in questo libro della Gael, che tratta della vita di Charlotte e della sua famiglia in modo romanzato, e presumibilmente anche in parte inventato o ricostruito liberamente, ne viene fuori un ritratto molto più gentile se vogliamo, più umano e passionale di quanto non mi fossi immaginata prima. Tempo fa avevo letto la ‘La vita di Charlotte Brontë’ (1857) di Elizabeth Gaskell, un bel tomo abbastanza dettagliato di fatti ricostruiti sia sulla base di personali ricordi e informazioni, essendo l’autrice amica della stessa Charlotte, sia sulla base di studi, interviste e analisi della corrispondenza fatta in merito alla sua vita. In quanto biografia la Gaskell ha pedissequamente riportato tutti i passaggi salienti della vita di Charlotte, dal triste periodo scolastico nel collegio per poveri, che a causa delle pessime condizioni igieniche aveva sterminato 2 delle sue 4 sorelle, all’esperienza più positiva degli studi condotti a Bruxelles, fino agli ultimi anni della sua breve vita che dopo averla fatta assistere impotente alla tragica morte di tutti i suoi cari, eccezion fatta del padre, le ha concesso poco più di un anno di felicità matrimoniale non coronata però dalla buona riuscita della gravidanza che ne
ha infine decretato la morte. Quello che però la Gaskell ha tralasciato è proprio quello che poi a detta della stessa Charlotte è stata fonte primaria d’ispirazione dei suoi notevoli romanzi, primo fra tutti Jane Eyre, ovvero le sue personali esperienze, i primi innamoramenti che hanno generato quell’ideale di uomo non necessariamente perfetto ma vero e con sentimenti nobili che fosse in grado di capire lei/le sue eroine nel profondo guardando oltre l’aspetto fisico. La Gaskell ha preferito sottolineare pesantemente la solitudine fisica ed emotiva in cui erano cresciute le sorelle, l’ambiente rude ed orgoglioso della gente dello Yorkshire, le difficili condizioni ambientali ed igieniche che caratterizzavano quei posti gelidi d’inverno e umidi e insalubri nel resto dell’anno, per giustificare le inevitabili conseguenze delle precoci dipartite dei familiari, della fragilità fisica della stessa Charlotte nonché della selvaggia natura dell’indiscusso talento di diversi componenti della famiglia Brontë.  La Gael invece si è soffermata sui 3 uomini al di fuori della stretta cerchia parentale che hanno indelebilmente segnato ed accompagnato la vita amorosa di Charlotte Brontë.
Il primo è stato Constantin Héger (1809-1896), insegnante belga, che nel 1942 accolse per circa un anno nella sua scuola di Bruxelles gestita con la moglie Mde Héger, le sorelle Emily e Charlotte, lì mandate dal Reverendo Brontë con lo scopo di perfezionare la conoscenza della lingua francese e tedesca. Successivamente Charlotte tornò nella
stessa scuola nel 1943 in veste di insegnante e nel breve periodo di permanenza sembra che sia stata letteralmente travolta dall’amore non ricambiato per il suo maestro. Nonostante la rigidità della forma di educazione che le veniva impartita, dalla rigorosità dei tempi e delle attività a cui era dedita sia da studentessa che da insegnante Charlotte rimase colpita dal modo in cui Héger riuscì a leggerla nel profondo, a superare sia il modesto aspetto fisico che la chiusura e singolarità del carattere che la contraddistingueva dalla maggior parte delle altre ospiti della scuola. Questo le diede la possibilità di sentirsi per la prima volta accettata da qualcuno al di fuori della stretta cerchia familiare, di potersi confrontare senza barriere nel vorticare dei suoi pensieri e saperi e tutto ciò si tramutò in un tormentato amore che per anni la ossessionò fino a spingerla a dichiarare i suoi sentimenti ripetutamente per iscritto, pur sapendo di non avere alcuna speranza. Questa passione, che sembra la portò a conservare gelosamente per anni le uniche 5 lettere mandategli da Héger in una corrispondenza quasi subito interrotta dal volere della moglie di lui, ha dato origine ai personaggi maschili principali dei romanzi ‘Il Professore’ e ‘Villette’ dove semplici e modeste giovani eroine si innamorano senza alcuna speranza di questi ideali quanto spietati e distaccati uomini. Di Héger però si ritrova qualche spunto anche in Rochester di ‘Jane Eyre’ , laddove la matura età, la capacità di leggere nel profondo la solitudine e la forza di Jane ne ricordano senza dubbio le caratteristiche della prima vera passione amorosa di Charlotte.
Il secondo uomo che ha segnato la vita amorosa di Charlotte è stato il suo primo e unico editore, George Smith, proprietario della casa editrice ereditata dal padre che credette per primo nel talento nascosto ma già visibile della opera prima di Charlotte ’Il Professore’ che sebbene pubblicata postuma fece da apripista nella credibilità al successo letterario dell’anno che fu ‘Jane Eyre’. George era un bel giovane, benestante, gran lavoratore ma anche avvezzo alla mondanità che, visto anche il suo lavoro, gli faceva frequentare i salotti più esclusivi della Londra di quel periodo. Più giovane di circa 10 anni di Charlotte quando ella uscì finalmente dall’anonimato dei Currer Bell, George si fece in quattro per introdurla negli ambienti letterari che contavano, nel farle godere la vita dell’opera degli eventi esclusivi e di alta società a cui Charlotte partecipava con estrema difficoltà per la natura del suo carattere ma con altrettanto riconoscimento a questo giovanotto bello, colto ed elegante che la accompagnava e con cui aveva creato una intima complicità. Lui era affascinato intellettualmente da questa minuta ma forte creatura che sembrava venuta da un altro mondo, ma nulla di più. George Smith era più attento, da buon editore, a fare in modo che nessun stimolo mancasse a questa autrice da lui scoperta. L’incanto fra i due si ruppe quando il secondo personaggio maschile al centro dell’attenzione nel romanzo ‘Villette’, creato su di lui, con gli stessi tratti e con il carattere aperto, mondano e vanitoso, non fu quello che Charlotte scelse come ideale romantico della sua eroina
Lucy Snowe che preferì a lui l’insegnante Paul Emanuel, imperfetto ma molto più intenso umanamente. George, anche per l’immagine non lusinghiera che alla fine ne emerse del personaggio del romanzo e quindi di lui stesso, si offese, perché a suo avviso era stato colpito ingiustamente e raffreddò così i suoi rapporti con l’autrice che finalmente si rese conto dell’opportunismo peraltro legittimo del tipo di rapporto che si era creato fra i due.
Il terzo e ultimo uomo, l’unico veramente e profondamente innamorato di Charlotte fu il reverendo Arthur Nicholls, che pur fra mille difficoltà riuscì a sposarla all’età di 39 anni dopo aver superato non solo la crudele resistenza del padre che non lo credeva all’altezza della figlia ormai famosa, ma anche della stessa Charlotte che inizialmente non ne era affatto attratta dal carattere, dalla modesta cultura e nemmeno dall’aspetto fisico. Arthur superò tutti gli ostacoli facendosi conoscere nel tempo in tutta la sua bontà d’animo, serietà, purezza e dedizione all’amata che avevano generato in lui un sincero sentimento che nulla aveva a che fare con il fatto che Charlotte fosse un personaggio pubblico e con una certa rendita. Charlotte finalmente lo vide, in tutta la sua integrità, in tutta la sua capacità di poterle dare quell’affetto
e quella protezione che da sempre agognava e per questo, seppur negli ultimi 2 anni della sua vita, lo ricambiò con un amore vero e profondo. Non ci fu tempo per lei di trasporre questo tipo di amore incondizionato e finalmente corrisposto in un nuovo personaggio letterario che magari al contempo si fosse liberato anche dei due precedenti, ma mi viene da dire che forse è più dalle sofferenze e da ciò che rimane desiderato e non necessariamente ottenuto che si concretizza il meglio dell’ideale romantico.

sabato 10 agosto 2013

Danubio, scorrere di vite e storie



Guardando quest’acqua giovane e sottile del neonato Danubio mi chiedo se, seguendolo fino al delta, fra popoli e genti diverse, ci si inoltra in un’arena di scontri sanguinosi o nel coro di un’umanità nonostante tutto unitaria nella varietà delle sue lingue e delle sue genti’.

                                       C. Magris , ‘Danubio’ 2006

Chissà se Sissi, futura Imperatrice d’Austria e Regina d’Ungheria, ha fatto una riflessione simile a quella di Claudio Magris nella sua opera intitolata ‘Danubio’, quando il 20 aprile del 1854 ha abbandonato Monaco definitivamente intraprendendo lungo il Danubio il viaggio che l’avrebbe portata tre giorni dopo a Vienna per coronare con il matrimonio l’ingresso nella sua nuova famiglia imperiale.
Conosciamo il lato favoloso e splendente della vita di questa famosa imperatrice grazie alla Trilogia di film  ‘La principessa Sissi’ con Romy Schneider e l’altrettanto mal di vivere che la stessa ha provato nella realtà causato dall’insofferenza per una vita fatta di rigide regole e formalità di personaggio pubblico e di potere che poco le si attagliava. In due bellissimi post a cui rimando, Silvia del blog ‘Vorrei essere un personaggio austeniano’ racconta le due facce della Principessa, quella dell’immaginario popolare e quella della vita reale.

Ma è sul Danubio che vorrei soffermarmi brevemente perché nei giorni scorsi, durante un viaggio di lavoro, ho avuto la fortuna di osservarlo da vicino, di ascoltarne il vivace moto che controcorrente alla maggior parte dei fiumi si snoda da ovest a est e che nei suoi 2800 chilometri di percorso  tocca i confini di ben 10 nazioni.
Il Danubio nel suo inesorabile scorrere attraverso i secoli è stato testimone delle vite di grandi imperatori e imperatrici, di sanguinose guerre dei paesi dell’ex blocco comunista e del fenomeno della globalizzazione dell’Europa dell’Est che sta modernizzando in modo violento i paesi neo-comunitari, come osserva giustamente il giornalista italiano Paolo Rumiz. Claudio Magris nel suo romanzo ‘Danubio’ coglie da viaggiatore luci, odori e stralci delle molteplici culture che attorno a lui si snodano, che da lui sembrano generarsi fino a perdersi nelle torbide acque del delta del Mar Morto, luogo ancora poco conosciuto e da noi per certi versi ancora temuto.

Osservando il Danubio nel suo passaggio a Bratislava ho provato in prima battuta un po’ di soggezione, che ha poi lasciato il posto ad una sensazione di tormentata inesorabilità unita a grande rispetto.


 






domenica 4 agosto 2013

‘Orgoglio e pregiudizio’ a fumetti in edizione Marvel



L’idea della Marvel di rappresentare graficamente il più famoso fra i romanzi di Zia Jane ‘Orgoglio e pregiudizio’ a
fumetti in occasione del suo Bicentenario, è nata con l’obiettivo di coinvolgere un maggior pubblico femminile a questo genere di pubblicazioni tipicamente rivolte ai ragazzi. Così commenta la sceneggiatrice Nancy Butler, nell’introduzione di questa graphic novel nuova di zecca. Appena ne ho avuto notizia non ci ho pensato due volte e mi sono procurata un copia su internet. Le premesse buone infatti c’erano tutte.

La Marvel è da sempre la casa editrice di fumetti da me preferita assieme all’italiana  Bonelli. Sarà che fin da piccola rubavo i fumetti dei supereroi a mio fratello maggiore, sarà che gli americani con le loro manie di persecuzione da parte di cattivi di tutte le specie hanno inventato altrettanti vendicatori in cerca del giusto riscatto, ciechi (Daredevil), provenienti dal Walhalla (Thor) o semplici umani che sotto l’effetto di sostanze più o meno chimiche e più o meno aliene hanno sviluppato poteri non comuni (Uomo Ragno, Hulk, i fantastici 4). Per non parlare dei capostipiti mutanti e miei preferiti X-Men. Sarà che a differenza di altri fumetti qualche componente femminile ogni tanto saltava fuori, si veda ad esempio Wonder Woman, Tempesta, Elektra, la Vedova Nera che, sebbene disegnate come super pin up per incontrare il gradimento del pubblico maschile mantenevano un barlume di par condicio. Insomma, sarà tutto ciò ma la Marvel per me è una garanzia. L’altra premessa non ha bisogno di essere commentata, parliamo di Jane Austen e di ‘Orgoglio e Pregiudizio’.
Ebbene nonostante queste più che buone premesse sono rimasta piuttosto delusa dal risultato finale. Mi dispiace dirlo ma convinta che i disegni della cover fossero quelli contenuti all’interno, quindi delicati, dolci e con colori che molto si addicevano alle atmosfere ottocentesche, quando ho aperto il libro mi sono invece ritrovata la caricatura delle sorelle Bennet in perfetto stile ventunesimo secolo. Bocche a canotto con rossetto, capelli folti e vagamente raccolti in acconciature morbide e ben poco elaborate, visi che hanno preso spunto da note attrici quali Kathie Bates per rappresentare Mrs Bennet e Glenn Close per Lady Catherine De Bourgh..inquietante davvero. Darcy è belloccio senz’altro ma anche se non sono riuscita a capire a quale attore si siano ispirati in particolare ce ne sono diversi a cui si potrebbe rimandare. Poi magari sono solo mie associazioni quelle dei volti con gli attori, ma credo di sbagliarmi di poco. Che dire di Lizzie? Mah, quello su cui Jane Austen aveva insistito molto come suo tratto distintivo erano gli occhi ma sinceramente qui non ne ho ritrovato la caratterizzazione giusta e il risultato è di una ragazza anonima e comune che quando si arrabbia sembra che si stia per trasformare in un qualcosa di davvero pericoloso.
Con questo non voglio dire che l’impresa fosse facile né che la mano di Hugo Petrus non sia buona, ma sinceramente non l’ho trovata adatta al fine del libro, se il fine era quello di fare un regalo alle Janeites, nè altrettanto se era quello di convincere nuove e più giovani fan ad avvicinarsi al mondo del fumetto.

Se avessero lasciato continuare a disegnare Sonny Liew e Tennis Calero, quelli della copertina, il risultato sarebbe stato senza dubbio molto più riuscito.

Sulla storia non ho molte obiezioni perché seppur con qualche imprecisione Nancy Butler è riuscita a rimanere in linea di massima fedele al testo originale senza appesantire troppo i dialoghi ma lasciandone una parvenza d’altri tempi.

Conclusione: circa supereroi, Dylan Dog, Dampyr e affini continuo a leggere i fumetti e lascio all’immaginazione o alle trasposizioni televisive o cinematografiche i romanzi dell’Ottocento da me tanto amati.

N.B. Tutte le immagini qui  riprodotte sono Marvel-PaniniComics©2013
©
(immagine: Marvel - PaniniComics © 2013)




sabato 3 agosto 2013

L’adolescenza e il romanticismo delle prime esperienze amorose


Fra le letture leggere e poco impegnative del periodo estivo, una delle mie scelte è ricaduta su ‘La ragazza che voleva essere Jane Austen’ di Shulman Polly, che nonostante abbia titolo e incipit corredati da un perfetto richiamo per allodole (in questo caso l’allodola sono stata io!), è riuscito comunque ad allietare qualche ora di questa calda estate.
Il titolo di questo romanzo richiama il nome altisonante di un’amata autrice, Jane Austen, per cui uno si aspetta qualcosa che ad essa rinvii con la stessa vivacità, arguzia e capacità di descrivere i personaggi.
L’incipit poi presenta una giovane ragazza di 15 anni, Julia, appassionata della scrittrice di cui sembra conoscere già bene diverse opere e che con la sua passione sembra ‘infettare’ la sua più cara amica Ashleigh chiamata l’ ‘Entusiasta’ per il modo con cui presta interesse a qualsiasi cosa le si presenti come novità, anche se questa dovesse durare il tempo di una giornata.

Ma l’alone austeniano dura fino al ballo di primavera della high school maschile di Forefield  in cui le due ragazze si ‘imbucano’ senza invito alla ricerca dell’anima gemella, dopo una lunga preparazione ai balli tradizionali quali la quadriglia o il valzer.

Una volta incontrati Grandison Parr e Ned, i due studenti che salvano le nostre dall’essere smascherate e cacciate miseramente dalla festa privata, il libro procede attorno alla storia d’amore adolescenziale che si sviluppa fra Julia e Grandison, dove lei ha davvero poco di un’eroina austeniana e lui, sebbene ci sia qualche riferimento nominale, ha poco del Darcy a noi noto.

Superata però la potenziale delusione di trovare ‘più Jane Austen’ nel libro, non posso dire che il romanzo non mi sia piaciuto. Certo il target è adolescenziale, si parla di un amore che nasce fra due sedicenni o poco più, si raccontano i batticuori, i dubbi, le fragilità di entrambi nell’affrontare forse per la prima volta un sentimento che travolge, che fa fare e pensare cose a cui mai prima si era nemmeno vagamente immaginato. Eppure non è proprio questo che succede ai ragazzi e alle ragazze di quell’età? Non è quello che è successo a noi qualche anno fa? Quello che mi è piaciuto è la delicatezza
comunque moderna e senza grosse pretese con cui è stata descritta questa storia adolescenziale, che in mezzo a tanta ostentata volgarità, esibizionismo ed eros gratuito che oggi si trovano in ogni dove, riporta alla vera natura di come dovrebbe essere il primo amore o in genere a come dovrebbero essere le prime esperienze in questo campo. Sono troppo romantica e idealista? Forse, ma credo che il modo in cui gli adulti spesso influenzano negativamente i modi di essere e di agire dei giovani, anche attraverso il loro stesso comportamento, faccia perdere di vista il mistero della nascita di un sentimento, i dubbi e le paure che spesso comportano e l’immensa gioia  nel viverne poi ogni singolo minuto.

‘La ragazza che voleva essere Jane Austen’ mi ha inoltre immediatamente riportato ad un’altra scrittrice, Ann Brashares di cui ho letto e apprezzato (per quanto sopra già detto) la serie dei suoi 4 romanzi più noti come ‘4 amiche e un paio di Jeans’. Le tematiche sono le stesse, narrando delle vicende amorose di 4 amiche che, non trascorrendo assieme per la prima volte le vacanze estive, decidono di rimanere in contatto spedendosi a turno un paio di jeans che magicamente sta bene a tutte e che riporterà traccia dei passaggi più importanti delle esperienze da loro vissute. I romanzi della Brashares entrano un po’ più di quello della Shulman nelle problematiche familiari delle ragazze e di come vengono da loro vissute ma il genere e anche lo stile per certi versi è lo stesso. Da questi romanzi della Brashares è stato tratto anche un film ‘4 amiche e un paio di jeans’ del 2008 e il suo sequel, ‘4 amiche e un paio di jeans 2’ , con Blake Lively, Alexis Bledel e America Ferrera fra le protagoniste.


I libri su citati vanno sotto la categoria ‘libri per ragazze’, e pur non avendo tutti la medesima profondità, qualità o fama di altre opere non sono pur essi assimilabili ad opere come quelle ad esempio della Alcott? E le età delle protagoniste e i tormenti dei primi amori descritti, seppur in epoche diverse non sono molto vicine a quelle della Austen?

Mi fermo qui perché so bene che le differenze ci sono, eccome, ma ci sono anche affinità, tutte quelle che possono essere catalogate sotto il termine di ‘storie romantiche’.