martedì 26 febbraio 2013

Pensieri su ‘Anna Karenina’ di Joe Wright


Ho stentato a riconoscere Matthew McFadyen, che con due guance rubizze e munito di due enormi baffi ha aperto il film di Joe Wright  ‘Anna Karenina’! Certo il passaggio dal serioso e affascinante Mr Darcy in ‘Orgoglio e Pregiudizio’ del 2007 dello stesso regista, al fedifrago Stiva, fratello della Karenina è notevole, ma questo è uno dei personaggi minori che ho maggiormente apprezzato nel tanto atteso film che finalmente ho visto domenica scorsa. Anche se  dunque personaggio minore, Stiva è il trade d’union dei protagonisti del romanzo (e film), essendo come su detto fratello di Anna Karenina e quindi cognato del di lei marito Karenin, nonchè amico carissimo di Levin e, della sua amata Kitty, cognato per parte della moglie. Stiva, dal modo in cui tradisce la moglie al come ricopre poco più che formalmente il suo incarico statale o a come cura malamente i suoi affari, è la triste rappresentazione dei vizi e delle ipocrisie dell’alta società russa, cosi’ tanto messa in discussione dal geniale autore del romanzo, Lev Tolstoj. Nel film di Wright, Mc Fadyen a mio avviso interpreta benissimo la vivace leggerezza e superficialità del personaggio che, forse, sembra fermarsi a riflettere sulla propria condotta e stile di vita solo dopo il suicidio dell’amata sorella.                                                                                         
Passando poi ai due triangoli d’amore attorno cui si sviluppa tutto il romanzo e parlando del comun denominatore di entrambi (Karenin , Anna e Vronskij da una parte e Levin, Kitty e Vronskji dall’altra), non si può dire che Wright non abbia trovato il Vronskij perfetto. Bellissimo, languido e dallo sguardo (e bocca) irresistibile, l’attore Aaron Johnson, mi convince e conquista. Se poi questo viene messo a con'fronto con un Karenin (un Jude Law ottimo) davvero anafettivo, molto poco attraente e fastidioso nei suoi rituali (qualcuno poi mi spiegherà cosa c’era in quella scatolina pre-rapporto coniugale..) non si può che comprendere la sbandata di Anna per il bel Conte russo. Per Vronskij non serviva un’interpretazione eccellente, serviva una fisicità che surclassasse tutte le altre e, secondo me, così è stato in questo film. Anche Levin mi è piaciuto nell’interpretazione dell’attore irlandese di potteriana memoria Domhnall Greeson, anche se di necessità (o volontà) Wright ha tralasciato molto dei suoi tormenti interiori che lo portano alla ricerca di una vita libera dalle falsità e brutture della decadente nobiltà russa del tardo ‘800, rappresentando invece quasi da subito l’adesione di Levin alla dimensione libera e genuina che alla fine condividerà con la giovane moglie Kitty.  
Ho volutamente lasciato per ultimo il mio pensiero sull’interpretazione di Keira Knightley di Anna Karenina perché devo proprio dire che seppur come attrice in generale mi piaccia molto, in questo film non ho riscontrato una delle sue migliori interpretazioni. Forse leggendo il romanzo mi ero fatta un’idea di un’Anna Karenina più morbida, più fragile nel momento in cui si sente turbata per la prima volta nel suo status di moglie dalle attenzioni di un altro uomo come Vronskij. La Knightley invece appare troppo nervosa, troppo sicura di sé e un po’ costruita, e non ‘naturalmente’ affascinante e carismatica come invece la voleva Tolstoj. Anche le espressioni legate sia ai momenti d’amore che a quelli di rabbia che usa durante il film le ho trovate molto simili a quelle ‘usate’ in altri film quali ‘Orgoglio e pregiudizio’ o addirittura ‘A dangerous Method’. Azzardo a dire che forse non era un personaggio adatto del tutto a lei, ma è un mio giudizio personale.                                                                                                                                                                  Straordinari i costumi e la sceneggiatura del film che con l’idea delle scene del teatro che si muovono al cambiare del contesto è davvero originalissima e garantisce un ritmo sempre sostenuto a un film che avrebbe rischiato di diventare in molti passaggi pesante.
Non è facile infatti rappresentare in poco più di due ore su schermo uno dei capolavori della letteratura russa come ‘Anna Karenina’. Non è facile immedesimarsi nelle profondità e sfumature del pensiero geniale di Lev Tolstoj, e nelle dettagliate descrizioni della evoluzioni psicologiche dei suoi personaggi. Joe Wright secondo me ha trovato una chiave originale per riuscirci, anche se non del tutto, almeno in una buona parte significativa.                                                                                                                          
Concludo questi pensieri suggerendo di vedere il film ‘L’ultima stazione’ del 2009 del regista Jay Parini, per comprendere meglio da quale pensiero superiore, tormentato e controverso è nato questo indimenticabile romanzo. Il film descrive le vicissitudini dell’ultimo anno di vita dello scrittore russo Lev Tolstoj, che dibattuto fra i suoi ideali di libertà, non violenza e dedizione agli oppressi e le agiate condizioni da nobile possidente a cui la moglie e i figli non volevano che rinunciasse, prende l’ultimo treno della sua vita per staccarsi definitivamente da tutto ciò con cui aveva vissuto e contro cui aveva lottato.

giovedì 14 febbraio 2013

Buon San Valentino!

Senza di te
Non posso esistere senza di te.
Mi dimentico di tutto tranne che di rivederti:
la mia vita sembra che si arresti lì,
non vedo più avanti.
Mi hai assorbito.
In questo momento ho la sensazione
come di dissolvermi:
sarei estremamente triste
senza la speranza di rivederti presto.
Avrei paura a staccarmi da te.
Mi hai rapito via l’anima con un potere
cui non posso resistere;
eppure potei resistere finché non ti vidi;
e anche dopo averti veduta
mi sforzai spesso di ragionare
contro le ragioni del mio amore.
Ora non ne sono più capace.
Sarebbe una pena troppo grande.
Il mio amore è egoista.
Non posso respirare senza di te.
                                                   John Keats



Auguri di Buon San Valentino a tutti quelli che amano!


sabato 2 febbraio 2013

I Reverendi anglicani nei romanzi dell'800



Dopo la scissione della Chiesa Anglicana dalla Chiesa Cattolica Romana, promossa da Enrico VIII e culminata nel 1534, fra le altre riforme, fu abolito l’obbligo al celibato dei Reverendi o uomini di chiesa in genere, cosa che li portò ad acquisire a poco a poco una nuova identità sociale.                                                                                            
Tipicamente i Reverendi derivavano dalla classe media della società e nel 1600 sembra che la maggior parte di quelli del Sud dell’Inghilterra avesse ricevuto un’eccellente istruzione  in una delle due rinomate università inglesi di Cambridge o Oxford.  Un po’ diversa la situazione dei reverendi del Nord dell’Inghilterra o delle Midlands che provenendo da ambienti sociali più umili, in molti casi venivano istruiti in scuole locali.      
Era convenzione che i nobili o i proprietari delle terre in cui venivano costruite le chiese, avessero il diritto come patroni di ‘scegliere’ e presentare al Vescovo la persona che ritenevano più adatta a ‘curare le anime’ che vivevano e lavoravano in tali proprietà. Questi giovani dovevano avere almeno 21 anni, aver acquisito, come su detto, una certa educazione, ed essere di nascita legittima. Mediamente chi otteneva i voti comunque aveva circa 23 anni. Nel 19° secolo si diffuse l’uso di garantire il beneficio ai figli più giovani delle famiglie di gentiluomini di campagna ai quali così era assicurata una vita modesta ma dignitosa. La rendita infatti non era elevata (da 200 a 100 sterline l’anno nei casi peggiori), ma molto dipendeva dai favori messi a disposizione dai patroni, laddove presenti e generosi. 
I Reverendi invece che avevano ottenuto il beneficio con il proprio reddito derivante da terre di proprietà, vivevano delle decime derivanti da queste e dall’allevamento di animali.

Queste brevi notizie sui ‘Clergymen’ Anglicani, di sicuro generali e non esaustive dell’argomento, mi aiutano a fare una carrellata e dei collegamenti con molti dei personaggi presenti nei romanzi dell’800 da me amati.
Partendo dai romanzi di Jane Austen, troviamo ricorrente la professione di ‘Reverendo’ nei diversi pretendenti delle nostre eroine.                                                                                         
Alla categoria dei figli minori appartenenti a classi di alta borghesia di campagna o meno appartengono: 
Henry Tilney di ‘Northanger Abbey’, l’affascinante ed intelligente figlio minore del Generale Tilney, che Catherine Mooreland conosce ad un ballo assieme alla sorella Eleanor. Il Generale, mosso dal desiderio di combinare matrimoni favorevoli al patrimonio di famiglia e convinto di aver a che fare con una giovane ereditiera, invita Catherine a passare un po’ di tempo a Northanger Abbey, per agevolare la liaison che stava nascendo fra lei e il suo secondogenito. Si accorge invece ben presto che Catherine non è una ereditiera e scaccia quindi in malo modo la giovane dall’Abbazia. Ma Henry Tilney, innamorato e di buoni principi morali, come l’infelice sorella a sua volta allontanata dal vero amore dal padre perché non ritenuto all’altezza, si oppone al padre, viene da lui ripudiato e si conquista una dignitosa posizione da Reverendo, riuscendo così a coronare il suo sogno d’amore con Catherine.
Edmund Bertram è il secondogenito maschio di Sir Thomas Bertram, che incontriamo nel romanzo ‘Mansfield Park’ mentre sta già affrontando gli studi per prendere i voti da Reverendo. Ragazzo di sani principi ma alle prime esperienze d’amore, si infatua di una non altrettanto innocente Mary Crawford che cerca in tutti i modi di convincerlo a puntare ad un ruolo in società che gli avrebbe garantito una posizione più elevata. Mary infatti esplicitamente gli dice che lei non avrebbe mai sposato un Reverendo destinato ad una vita modesta dedicata agli altri. Ma Edmund è forse il personaggio che più di tutti sembra avere una vera vocazione e così non solo prende i voti ma alla fine sposa la donna che più di tutte lo avrebbe rispettato ed amato anche per la sua scelta, la cugina Fanny
Edward Ferrars è un altro secondogenito destinato ai voti che Jane Austen ci presenta nel romanzo ‘Ragione e Sentimento’, oggetto del discreto ma sincero amore di Elinor, la componente razionale della coppia delle amate sorelle. Edward non spicca per iniziativa, ma segue mestamente il suo destino che poi fortunatamente, nonostante giochi anche a lui qualche tiro mancino – il fratello sposerà la sua apparentemente ingenua  promessa sposa – lo porterà a prendere i voti per potersi mantenere e coronare così il suo sogno d’amore.
Fa parte invece della categoria dei Reverendi ‘protetti’ ovvero scelti da un ‘patrono’, il rinomato Mr Collins di ‘Orgoglio e Pregiudizio’, tanto  devoto alla sua Lady Catherine da eseguire pedissequamente ogni suo comando o desiderio.

Passando invece ai romanzi delle sorelle Brontë si trovano Reverendi appartenenti a classi sociali più modeste, del Nord dell’Inghilterra, e soprattutto non secondogeniti in qualche modo costretti a ‘ripiegare’ ad un porto sicuro.
Parlando infatti di St. John Rivers in ‘Jane Eyre’ di Charlotte Brontë, troviamo un fratello maggiore, che si occupa anche delle due sorelle rimaste con lui dopo la morte dei genitori, le quali per vivere devono fare le governanti. Estremamente devoto, ha ereditato Moor House e vuole partire presto come missionario per le Indie. Una vita semplice e dedicata ai bisogni altrui è quello che muove il suo rigoroso carattere.                                                 
In ‘Agnes Grey’, Anne Brontë descrive invece due tipi di Reverendi anche di diverso ruolo ma soprattutto di diversa devozione. Il primo è il Vicario, Mr Hatfield sprezzante della povertà che agisce spinto solo dal riconoscimento e tornaconto che l’alta borghesia di campagna poteva garantirgli. Mr Weston, colui che infine sposerà Agnes, è invece un giovane curato devoto che si è fatto da sé con il duro lavoro e che si occupa sia materialmente che con il cuore e la  fede dei bisognosi, così come dovrebbe essere.

Infine Elizabeth Gaskell ben dipinge la vita bucolica per quanto semplice di un reverendo del Sud dell’Inghilterra quando narra del papà della protagonista Margaret Hale di ‘North and South’, che poi mosso da una profonda crisi interiore, che lo porta a mettere seriamente in discussione il credo cui aveva aderito fino ad allora, rinuncia ai voti e si trasferisce al Nord sopravvivendo di lezioni private. Protetto da un sistema conservatore e  classista al Sud, il Reverendo Hale si trova a doversi scontrare con la gente del Nord grande lavoratrice e dai modi rozzi dalla quale si farà comunque benvolere per il suo cuore onesto e la sua vasta cultura che metterà a disposizione dei meno fortunati.

Questi i personaggi dei romanzi, senza però dimenticare che tutte le scrittrici qui sopra citate sono state a loro volta figlie di Reverendi del Centro-Sud, Jane Austen ed Elizabeth Gaskell, e del Nord, le sorelle Brontë, con profonde differenze di stile e di difficoltà di vita incontrate ma con un fattore comune determinante il loro percorso artistico, derivante proprio da questi augusti genitori, ovvero la possibilità di ricevere una buona istruzione letteraria a cui non tutte le figlie femmine della Middle class avrebbero potuto accedere.